Buona festa della Repubblica.
-di Adriana Domeniconi-
Il 2 giugno 1946, e la scelta popolare per la Repubblica, unita alla elezione di una Assemblea parlamentare per la elaborazione e approvazione della costituzione, rappresentano l’atto fondativo democratico della nuova forma di Stato. E’ opportuno, quindi, averne e tramandarne la memoria, rendere solenne, come la Festa nazionale richiede, quell’evento così rilevante nella storia nazionale, nella determinazione dei valori fondanti delle istituzioni, nella promozione dello sviluppo della vita sociale.
A questi fini si unisce la opportunità di individuare ogni anno almeno un principio della costituzione collegato con maggiore chiarezza con la esperienza presente. Tanto più che la costituzione contiene anche disposizioni programmatiche, dirette ad orientare le linee portanti dell’azione futura, e richiede un impegno per la loro attuazione. In tal modo la Festa nazionale non si limita ad avere il significato del ricordo di una ricorrenza, pur rimarchevole, mentre acquista anche l’occasione per una riflessione, ciascun anno, sull’indirizzo che la costituzione e gli eventi del periodo storico ci indicano, forse anche ci impongono
Il contesto generale che ora si manifesta e stiamo vivendo è quello, rischioso e tremendo, di una “guerra mondiale a pezzi”. Questa espressione evocativa di Papa Francesco e anche di Leone XIV che più volte sta rivolgendo le sue riflessioni sul pericolo di un conflitto tra popoli auspicando un intervento di pace tra i potenti della Terra, coglie il rischio di guerre distinte per cause e luoghi, eppure idonee a comporre un mosaico di legami tra conflitti diversi, nella incapacità di risolverli pacificamente e secondo giustizia. La Festa della Repubblica invita a chiedersi quali riflessioni susciti, in proposito, la costituzione, e quali linee indichi per orientare l’azione delle istituzioni, anche nei rapporti internazionali.
È un insegnamento ed un orientamento condensato nell’articolo 11 della costituzione: l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. È stata di insegnamento e deve essere un ricordo indelebile da non bruciare nelle ceneri dell’oblio l’esperienza tragica della guerra, delle morti, delle distruzioni materiali e morali che aveva provocato. L’impegno e l’azione devono essere orientati a evitare e impedire il ripetersi ovunque di quelle tragedie. La stessa disposizione costituzionale prefigura organizzazioni internazionali che assicurino la pace e la giustizia tra le Nazioni.
Sono questi gli obiettivi per i quali operare. La pace si assicura in condizioni ben più ampie della “non guerra”. È di sorprendente attualità l’organico disegno della Enciclica Pacem in terris (1963) e l’insegnamento di Giovanni XXIII, in un contesto nel quale era presente il rischio di un scontro tra le due grandi superpotenze nucleari, idoneo a sconvolgere il mondo. Il quadro delineato dalla Pacem in terris, i fondamenti che indica nei rapporti tra gli esseri umani e delle comunità politiche con la comunità mondiale, gli obiettivi che propone, offrono una traccia per l’azione da compiere, in perfetta sintonia con l’impostazione della costituzione. Infatti l’Italia è una grande nazione che trova nella sua storia e cultura una sua identità che ci rende tutti Italiani. Ciononostante è importante comprendere il rapporto tra individuo e Stato, cosa che non è mai stato facile nel nostro Paese, ed è forse uno dei mali più antichi che trova un pregnante riscontro nella nostra storia.
Come declamava il sommo poeta Dante Alighieri, “Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello!”.
Un’Italia ancora, a volte divisa, città contro città, popoli contro popoli, genti con una comune matrice latina che nel tempo seppero porre il seme di una unica nazione, sfuggendo alla logica della convenienza che, nel XVI secolo, Guicciardini ironicamente già citava “o Franza o Spagna, purché se magna”.
Italiani, uomini e donne, che seppero unirsi sotto una bandiera tricolore nelle guerre risorgimentali, per una terra che fu poi bagnata con il sangue dei suoi figli nella I guerra mondiale, che subì le umiliazioni delle grandi potenze fra le due guerre, maturando odi e rancori che portarono alla nascita di un regime illiberale e ad una folle guerra, seguita da una sanguinosa guerra civile i cui echi ancora riecheggiano.
Poi la rinascita speranzosa del dopo guerra, di un’Italia distrutta che da un lato era desiderosa di costruire un futuro diverso ma dall’altro era sempre sofferente di un male antico che vedeva poche mele marce guastare il lavoro di molti che si erano immolati per la nostra Terra e di altri che con enormi sacrifici cercavano di ricostruire l’identità del nostro stupendo Paese. Questa ricorrenza della festa della Repubblica ha quindi un valore simbolico importantissimo perché racchiude e ricorda quei principi che ci hanno fatto diventare una Nazione. Non si tratta di nazionalismo ma di salvaguardia della nostra eredità culturale di tradizioni da non seppellire nella polvere o nell’oblio, non per accontentare mode o richieste esterne, ma per ricordarci chi siamo e da dove veniamo, includendo con consapevolezza anche chi oggi condivide con noi il destino e il futuro di questo Paese. una eredità, una cultura da tramandare e far emergere dalle ceneri in cui troppe volte è stata seppellita e l’abbiamo vista ardere nel fuoco dell’ignoranza, Cultura, che ci rende unici e di pari dignità con gli altri Paesi. Sono i valori sovrani di un popolo, che non possono essere cancellati da aspirazioni puramente economiche o di comodo e interessi personali.
Ieri come oggi l’Italia non è un’espressione geografica ma un grande popolo che in questa giornata ritrova i suoi valori fondanti che lo hanno fatto grande nella storia.
In un mondo che, come abbiamo visto, sta cambiando, nel bene o nel male, la salvaguardia di quei valori etici e morali che hanno caratterizzato la nostra storia è quindi fondamentale, perché essi ci rendono unici ed orgogliosi di essere italiani. Rammentiamo sempre e cerchiamo che sia impressa, sovente, nella nostra memoria la pregnante e fondamentale frase : “L’ Italia è fatta ora bisogna fare gli italiani” che il grande Massimo d’Azeglio aveva pronunciato alla proclamazione del Regno d’Italia.
D’Azeglio, che fu un importante politico, scrittore e pittore del XIX secolo, pronunciò questa frase nel 1861, dopo la proclamazione del Regno d’Italia, sottolineando l’importanza di costruire un’identità nazionale unita e coesa tra le diverse popolazioni che componevano il nuovo stato. L’idea era che, pur avendo creato un territorio unificato, era necessario creare una coscienza nazionale e un’unità di intenti tra gli italiani per poter veramente consolidare il “nuovo regno”. E noi dobbiamo assolvere a questo compito perché non offrire un nobile contributo alla nostra Patria non ci assolve e non ci rende incolpevoli.
E questo impegno si realizza, oggi più che mai, nel valore del lavoro, nella dignità di chi costruisce ogni giorno con fatica, responsabilità e speranza il presente e il futuro dell’Italia.
Il lavoro, che la nostra Costituzione pone al centro della Repubblica, è il ponte vivo tra memoria e identità, tra generazioni diverse e nuovi cittadini, tra storia e futuro.
Celebrare il 2 giugno vuol dire anche difendere e promuovere il diritto a un lavoro giusto, sicuro, accessibile per tutti.
Perché una Nazione non esiste senza chi la lavora, la sogna e la abita. Insieme!